Pensiero #3
Riflessioni notturne, metamorfosi di scelte e sacrifici. Uno sguardo alieno alla perdita del cielo, specchio dell'anima collettiva.
PENSIERO
Semiramide
6/14/20252 min read
A volte mi ritrovo a pensare nel cuore della notte, quando non riesco a prendere sonno, e mi soffermo quasi sempre sugli stessi argomenti. Penso a come sia silenziosa e sinuosa la notte, che con il suo buio avvolge tutto senza fare distinzione, trovando i lampioni, come unici stanchi araldi della civiltà tanto sofferta.
Ovviamente parlo di sofferenza, per il semplice fatto che non è stato un processo veloce, e nemmeno pacifico, l’avvento e lo sviluppo della scienza e della tecnica. Nessuno poteva immaginarsi cent’anni fa che saremmo finiti a scrivere libri, romanzi e qualunque cosa, su una carta “inesistente”. Eppure eccoci qui. Forse non ce ne siamo nemmeno resi conto di quanta strada abbiamo fatto, o di quanto abbiamo perso per arrivare qui. Poiché tutti abbiamo fatto delle scelte, che ovviamente ci hanno portato fino a dove siamo ora, ma nella realtà, ogni scelta porta con sè una rinuncia, una privazione intrinseca. Certamente alcune sono più nascoste di altre, come nel buio al di fuori del cono luminoso dei lampioni, mentre altre sembrano stare prorpio sotto la luce; ma ogni volta ci troviamo a dover scegliere, e quindi sacrificare qualcosa.
Pensate Galileo quando ha puntato il telescopio verso la luna e le stelle (eh si era notte in quel momento), cosa deve aver percepito nel momento in cui ha deciso di sacrificare la vista dell’orizzonte per puntare a qualcosa di ancora del tutto incomprensibile. Ha dovuto privarsi di scoprire altro che lo avrebbe portato ad essere magari un architetto, un avvocato, o un banchiere. E invece il destino ha voluto che sacrificasse tutto per qualcosa che nemmeno lui comprendeva, ma che poi scoprì in parte il funzionamento.
Ovviamente moltissime, secondo me, delle scoperte che l’uomo fece vennero accompagnate dal favore delle tenebre. Forse perché nelle tenebre troviamo conforto, misto a terrore, proprio come la vita stessa. Nasciamo nell’oscurità, ciechi, e successivamente si sviluppa il senso della vista, e così la notte ci ricorda da dove veniamo, come per mesi abbiamo anelato sempre quel bagliore luminoso che una volta raggiunto, brucia nei polmoni e acceca la vista, proprio come se respirassimo una stella.
La notte pervade tutto: l’anima e il cuore. Ci fa sussultare per ogni rumore, fa si che il cuore batta forte, ci faccia sentire vivi. Ci fa anelare qualcosa di superiore. Ci fa guardare al cielo. Un cielo che però noi ora abbiamo perso, sacrificandolo per una migliore vista verso il basso. Quando l’uomo guardava il cielo, si sentiva parte di qualcosa, sentiva che le tenebre non erano puro male, ed anche se esistono da prima che esista la luce, ci hanno sempre affascinato oltre che impaurito, proprio per questo loro mistero antico, eterno e recondito nel nostro animo.
La notte porta consiglio, ma anche dolore. Porta ciò che è necessario per farci apprezzare l’alba. Nessuna luce è mai bella, quanto quella dopo una lunga notte.
Quindi mi ritrovo qui, illuminato dalla luce del mio monitor, nella stanza buia, a pensare a come questa condizione di movimento, ci faccia percepire così tanto fermi e avvolti come da una coperta calda, di cui non vediamo nè l’inizio nè la fine. Porta con se ricordi e paure, rancori e chirimenti, lacrime e sorrisi, ma soprattuto pace e silenzio. In una società in cui non si fa altro che provocare rumore, la notte è l’unico momento in cui possiamo sentire finalmente noi stessi. Anche se ora guardiamo verso la terra, per sentirci protetti, un tempo guardavamo le stelle per sentirci migliori, e per aspirare ad essere qualcosa di meglio di semplice materia che si decompone ma stelle che ardono per poi esplodere.
Ora guardando il cielo notturno mi sento perso, vedendo una perenne alba che non sorge mai, e un silenzio finto e ovattato, dovuto dai non-suoni della città. Forse al di fuori di tutto questo ci sono ancora posti dove la notte si può ammirare, e non soltanto attendere. Dove l’uomo guarda ancora le stelle, e spera come Galileo di trovare la propria stella con cui ardere fino ad esplodere.
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