Pensiero #4
Il silenzio si fa voce aliena. La montagna, specchio dell'anima, e la morte come trasformazione, toccando l'emozione universale.
PENSIERO
Semiramide
6/21/20256 min read
L’unica cosa a cui riuscivo a pensare era quel silenzio assordante che rendeva tutto il resto silenzioso. Una volta entrato, sentivo tutti gli altri rumori, come se fossero dentro un’ampolla di vetro. Il silenzio era ancor assordante. Quasi opprimente. Quando venivo qui mi piaceva mettermi seduto, verso le 5 del pomeriggio, così per evitare il caldo estivo del pomeriggio, nel giardino sul retro della casa a fissare la montagna che torreggiava davanti a me. Era bellissima e mastodontica. Forse era per questo che mi piaceva. Forse perché lasciava trasparire un senso di immortalità e infinito che sapevo di non avere. Sapevo di non poterlo raggiungere. Sapevo che un giorno me ne sarei andato. Sapevo che quella montagna dopo la mia morte sarebbe rimasta lì. Sapevo però, che anche quella montagna prima o poi sarebbe scomparsa, sotto la forza del vento. Quindi mi chiedevo come facesse quella montagna ad emanare quel senso di immortalità che ti faceva sentire così piccolo, anche se lei sapeva che prima o poi sarebbe morta. Ciò mi rendeva triste, ma anche felice. Triste perché comprendevo che tutto aveva una fine, e quando dico tutto, intendo proprio tutto, anche l’universo. Felice perché, in questo mondo destinato a finire, in cui non ci è concesso sapere il momento esatto della nostra dipartita, c’era ancora qualcosa che emanava quel senso di immortalità. Ero attratto da quella montagna. Quasi fosse una persona. Forse perché aveva cercato in molte persone, quel sentimento. Ma, a malincuore, non lo avevo mai trovato.
Di solito stavo a fissare la montagna e il cielo azzurro dietro di lei, per almeno 15 minuti, e poi mi alzavo e spostavo la testa verso sinistra. C’era una valle che scendeva giù per la montagna, in cui c’era una strada. Non passavano molte auto. E questo mi rendeva felice, in un certo senso.
Fissavo quella strada con una tale tristezza che molto probabilmente se fossi stato in mia madre avrei pianto. Mia madre è una persona decisamente emotiva. Piange alla fine di quasi tutti i film che vede. Tornando al nostro discorso…mi sentivo triste perché vedevo come quella strada era piccola in confronto a quella montagna. Troppo piccola. Dal giardino sul retro la strada terminava dietro un grande albero vicino alla fontana, nel cortile sul retro della villa, però si riusciva a capire, guardando attentamente dietro le foglie, che la strada continuava, ma non avrei saputo dire per quanto. E così pensavo che quella strada, potesse essere una metafora della vita. Ogni persona sa che la sua vita terminerà ma nessuno sa quando, e come quella strada, che tutti sanno che prima o poi terminerà, nessuno riesce vedere oltre le foglie di quel salice.
Per arrivare dai miei nonni in realtà bisogna percorrere quella strada, quindi in realtà io sapevo dove portava ma non sapevo assolutamente quando finisse.
E questo mi faceva pensare alla vita: tutti sanno dove porterà, ma nessuna sa scorgere dietro le foglie del salice.
L’unica cosa che mi tirava un po’ su di morale era pensare alla natura. Lo so che sembra strano ma mi piaceva pensare di essere un animale, un’aquila forse, per riuscire a sentire di servire a qualcosa. Lo so che sembra assurdo ma ogni volta che penso alla natura mi viene in mente sempre la stessa scena.
Penso a come si dovevano essere sentiti i primi uomini della terra. Terrorizzati, forse anche un po’ sorpresi di essere nati in un posto del genere, a cui piaceva contemplare la bellezza di quel mondo ancora non contaminato dall’ambizione sfrenata dell’uomo moderno.
Tuttavia penso sempre a come deve essere stato, per questi uomini, uccidere un animale. Cioè, erano loro amici, erano fratelli nati anche loro per qualche strano piano divino su quello stesso pianeta: perché ucciderli? A questa domanda non riuscirò mai a rispondere.
Non sono credente, proprio per niente. Però mi piace credere che in natura ognuno è fondamentale: quando un’aquila uccide un topo e poi lo mangia, non riesco a vederlo come un fatto riprovevole. Penso invece che, la morte di quel topo sia servita al l’aquila a sopravvivere e quindi anche la morte di quel topo è servita per mantenere la vita.
Però questa visione non riesco a portarla anche nel nostro mondo. Penso sempre a quella dannata strada che scompare tra le foglie verdissime di quel salice, e mi chiedo che cosa ci sia alla fine di questa maledettissima strada. Ma alla fine mi chiedo sempre se sapere dove conduce la strada, serva davvero a qualcosa.
Secondo me no. Perché se qualcuno sapesse già quando la sua strada finirà, vivrebbe nella sofferenza più totale. Io di sicuro finirei a vivere in un eremo, isolato, nella tristezza e nella solitudine.
E poi come potremmo noi “umani” servire a qualcun altro da morti? Un topo morto diventa cibo per i vermi o anche per altri animali che si nutrono di carcasse, ma un uomo morto a cosa serve? A nulla. Un uomo morto non serve a nulla. L’uomo è destinato a vivere nell’ansia di non sapere cosa ci sia tra le foglie del salice, per poi arrivare, al momento della dipartita, o alla fine della strada nella valle, a chiedersi se verrà ricordato; oppure se ha vissuto come voleva ecc ecc…
Ovviamente una delle cose che più ci consola al pensiero della morte, è sapere che una volta “volati via” vivremo nei ricordi delle persone care. È una frase che ripete sempre mia mamma, e credo che sia azzeccata. Lei è una persona decisamente pratica, non come me, tutto congetture e filosofeggiamenti senza poi arrivare al dunque, è anche più credente di me. Però devo darle atto che quella frase credo descriva a pieno l’unico modo che ha l’uomo, durante la sua vita di non sprofondare nell’oblio della tristezza.
A proposito di ricordo…mi ricordo una sera che stavo passando le mie svariate ore di noia su Facebook, e tutto ad un tratto vidi un commento. Era come se mi fossi risvegliato d’improvviso da un brutto sogno. Appena mi ripreso rilessi il messaggio, cercando di scandire nella mia mente ogni singola parola. Il commenta faceva pressoché così “Una persona muore solo quando smettiamo di ricordarla”.
Era vero. Era fottutamente vero. Non potevo crederci. Poi più leggevo quella frase e più sembrava che prendesse forma nella mia mente. Ci pensai a fondo per molto, molto tempo. E alla fine riuscii a concludere che quella frase, per me, rappresentava alla perfezione la fugacità dell’esistenza umana e di come una semplice idea ci possa salvare dall’oblio.
Allora però mi sorse una domanda spontanea: ma se questa frase è vera, che senso ha, allora, la morte?
Ci impiegai mesi per rispondermi a questa domanda, forse non ci sono riuscito nemmeno ora, però sono arrivato ad una conclusione che secondo me da una spiegazione. O forse sono solo io che ho bisogno di una spiegazione, perché ho bisogno di certezze in questo mondo, governato dal fato e da forze che gli uomini non possono controllare. Anche perché se fosse così, ci saremmo estinti molto fa…tornando al modo in cui ho trovata la mia apparente risposta…
Ero appena tornato da scuola, e stavo seduto sul divano a mangiare la pasta che mi ero cucinato. Quella volta mi era venuta davvero bene: l’avevo condita con curry, peperoni, zucchine, pancetta e grana. Era proprio fiero di come era venuta. Ma tornando a noi…mentre mangiavo questa stupenda pasta di mia creazione, che da ora in poi chiamerò Fantasia di Peperoni, Zucchine e Grana; cominciò uno dei miei “cartoni”, se così si può definire, (per gli intenditori stavo guardando un “anime”) preferito: Naruto
Non so se lo conoscete, se la risposta è no…beh siete messi male. Vi consiglio vivamente di guardarlo. Comunque c’era l’episodio in cui Giraya muore contro i sette Pain. Nel suo discorso finale, che era anche troppo lungo per i miei gusti, sentii una frase che mi stupii molto. Giraya mentre sprofondava giù in un fiume, si vide tutta la sua vita passargli davanti agli occhi, ma poi, arrivati verso l’ultima parte del discorso, quando ormai pensi che più nulla ti potrà stupire, pronunciò questa frase: ” la vita di un uomo si vede dalla sua morte” poi continuava ma non mi ricordo il seguito.
Mi aveva davvero stupito quella frase. Davvero ero rimasto a bocca aperta. Cioè, più che bocca, era la mia mente che non sapeva più cosa pensare.
Tuttavia ci rimuginai sopra per molto tempo e alla fine scoprii, tramite i miei soliti, infiniti, fastidiosi e affascinanti filosofeggiamenti che quella frase riassumeva tutti i miei pensieri relativi alla morte.
Per me era così. Forse ho voluto credere che quella frase fosse vera, forse perché volevo rispondermi alla domanda iniziale: che senso ha la morte?
Decisi che secondo me, lo scopo della morte è farti capire come hai vissuto.
Allora ecco che, guardando quel paesaggio fantastico ti senti davvero in pace.
Dopo aver fissato la famosa strada/vita per più o meno 10 minuti mi sdraiavo sul prato e fissavo il cielo. La maggior parte della volte però, finivo a fissare il vuoto. Però mi alzavo abbastanza presto, oppresso da quel silenzio assordante che mi trapanava i timpani e mi obnubilava la mente.
Ora era diverso: il silenzio non mi opprimeva, e non era assordante, anzi mi cullava ed era come la voce di una madre premurosa, che vedendo il figlio piangere gli ripete con voce soave che andrà tutto bene. Allora in quei momenti mi dico “ora posso andare” e allora faccio crollare le mie palpebre sui miei occhi, che sentivano quasi ringraziarmi (non sono una persona che dorme molto) e immagino quello voglio. Molte volte sono cose stupide, tipo io che gioco ad un videogioco che vorrei avere ma costa troppo. Però tutte le volte è sempre la stessa storia: qualsiasi cosa io immagini mi sento in pace e felice.
Allora secondo me all’uomo non serve sbirciare tra le foglie del salice per vedere dove, e quindi quando, finirà la strada; non deve nemmeno invidiare la montagna perché è troppo maestosa e infinita; deve solo pensare a non fare incidenti mentre percorre la strada. Perché in fondo, alla fine della strada, ci arriveremo tutti, il problema è che chi avrà guidato ammirando il paesaggio e godendosi il viaggio, alla fine arriverà qui e potrà ammirare il salice e la montagna in pace in questo silenzio rasserenante; mentre chi avrà guidato impaurito di arrivare in fondo, o guardando sempre indietro…beh…credo che arrivato qui verrà soffocato da questo silenzio assordante che lo porterà con se nell’oblio della tristezza.
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